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LIVIO AGRESTI detto Ricciutino

Il dipinto, giunto a noi molto danneggiato, proviene dall’ex ospedale di San Matteo e fa parte di una serie di opere depositate nel 1873 presso la Pinacoteca comunale su richiesta del Sindaco Tommaso Benedetti dalla Congregazione di Carità che gestiva i beni delle corporazioni religiose cittadine.
La figura aggraziata della Santa, rappresentata secondo l’iconografia tradizionale nell’atto di sorreggere la croce di Cristo da lei rinvenuta, tiene nella mano destra un fazzoletto con i tre chiodi ed ha in capo la corona dorata che poggia sopra un velo trasparente.
La santa è raffigurata nelle fattezze di una giovane donna riccamente vestita.
I requisiti stilistici del dipinto, dalle apprezzabili qualità cromatiche, hanno orientato gli studiosi, a partire dal Guardabassi (1872) ad attribuirne l’esecuzione a Livio Agresti, pittore lungamente operoso nell'Umbria meridionale subito dopo la metà del secolo XVI, come dimostrano le numerose testimonianze presenti nelle città umbre di Amelia, dove dipinge la Crocefissione con i santi Firmina e Olimpiade, di Narni, con un’Annunciazione ora nel Museo civico e una Consegna delle chiavi nel Duomo, di Terni, con una Circoncisione nel Duomo, di Collescipoli con il Battista.
Giorgio Vasari nella sua seconda edizione delle Vite dedica a Livio Agresti alcune pagine al termine della biografia del Primaticcio, restituendone un’immagine vivace “buono e fiero disegnatore, pratico coloritore, copioso ne’ componimenti delle storie, e di maniera universale”.
Il pittore forlivese trasferitosi a Roma dove “attendendo con molto studio al disegno si fece buon pratico” (Vasari) lascia nella Città Eterna numerose testimonianze della sua arte partecipando a due dei cantieri più importanti di quegli anni, la decorazione della Villa d’Este e l’Oratorio del Gonfalone accanto a Federico Zuccari e a Girolamo Muziano.
Al seguito del suo mecenate, il cardinale Otto Truchsess, lavora anche nella lontana Germania nel piccolo borgo di Dillingen dove realizza un ciclo di affreschi, oggi perduti, nella cappella privata del castello.
Approfittando forse della sua fama, l’Agresti trasferitosi ormai settantenne ad Amelia con la sua famiglia si ritrova ad organizzare una piccola bottega pronta a soddisfare le richieste della committenza locale.

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