Proveniente dalle raccolte dall’ex ospedale di San Matteo, il dipinto di Fenzoni è parte di una serie di opere confluite nel 1873 nella Pinacoteca di Spoleto su richiesta del sindaco Tommaso Benedetti e ottenute dalla Congregazione di Carità, che gestiva i beni delle corporazioni religiose.
L’opera, nonostante il cattivo stato di conservazione e le diverse lacune, mostra Venere, circondata dagli amorini nell’intimità della sua toletta, distesa e rivolta in parte verso l’osservatore con in mano uno specchio. La scena, posta in primo piano, è caratterizzata da una forte dinamicità, da un chiaroscuro e un tratto decisi che accompagneranno spesso l’opera del pittore.
Fenzoni, originario di Faenza, dopo un primo apprendistato in patria si trasferì a Roma alla fine del pontificato di Gregorio XIII. Qui, su commissione di Sisto V e insieme a un folto gruppo di pittori, lavorò in alcuni importanti cantieri, tra cui la decorazione della Loggia delle Benedizioni di San Giovanni in Laterano e della Scala Santa in Vaticano. Tra il 1590 e il 1591 decorò la cappella di San Francesco in Santa Maria in Trastevere e lavorò all’appartamento di Pio V in Vaticano.
Dopo questa fase romana della sua carriera, Fenzoni venne chiamato a lavorare in Umbria dal vescovo di Todi Angelo Cesi e vi rimase, alternando alcuni rientri nell’Urbe, per circa sei anni (1592-1599). Qui lavorò alla decorazione del Giudizio Universale del Duomo di Todi e nel palazzo Vescovile, ma sue opere sono conservate anche a Foligno, Gualdo Cattaneo e Perugia.
Nel 1590 Fenzoni rientrò in patria dove continuò a dipingere a pieno ritmo, lavorando ad alcuni commissioni fra Faenza e Ravenna, e morì in età avanzata nel 1645.