Oltre l’astrazione

Sala 10

Col termine “astrazione” si indicano spesso tendenze, correnti, movimenti senza reali affinità gli uni con gli altri, ed è per questo motivo che opere in apparenza astratte o prive di figure possono felicemente convivere nella loro singolarità oltrepassando o addirittura negando il concetto stesso di astrazione.
Si va così dal gesto, dalle orme e dalle tracce esistenziali derivanti dall’espressionismo astratto, di cui Scialoja è stato protagonista assoluto in Italia e testimone a fianco degli action painters americani fin dagli anni ‘50, alla chirurgica velocità d’esecuzione e apertura di nuove e contemporanee concezioni spaziali ispirate a teorie quantistiche e al concetto di vuoto fino ad abbandonare la forma tradizionale del quadro come in Asdrubali, per arrivare al paesaggio stellare, cosmico, neuronale e rizomatico di Di Fabio. 

L’esperienza non figurativa in Italia si completa con quei pittori che rappresentano delle vere e proprie polarità, tra l’informale d’evocazione e suggestione materica e corporale di chi ha “giocato” in una dimensione più intima e corrosiva come Bendini (di cui in collezione esiste anche un nucleo importante di opere tra dipinti e disegni) e la superficie esaltata nella sua sensuale eleganza e bidimensionalità di chi ha invece praticato linguaggi più sistematici e strutturati come Verna, rappresentante di spicco (insieme ad Aricò, Griffa, Guarnieri, Gastini, Pinelli e a molti altri artisti italiani) del movimento Pittura analitica o Pittura-Pittura, che ebbe negli anni Settanta come teorico e sostenitore il critico Filiberto Menna.  Una risposta astratta più razionale fu la nascita, sostenuta dal critico d’arte Giulio Carlo Argan, del Gruppo Uno a inizio anni ‘60 (Biggi, Uncini, Carrino, Pace, Santoro, Frascà), che azzerò il linguaggio astratto muovendo da esperienze gestaltiche e strutturali, di cui i celebri Continui di Biggi rappresentano un caso esemplare. 

Gastone Biggi 

(Roma, 1925 - Langhirano, 2014)

Esponente e teorico principale del Gruppo Uno formatosi nel 1962 e di cui il critico e storico dell’arte Giulio Carlo Argan fu promotore, Biggi è stato un amante di musica classica e raffinato scrittore di poesie e testi di storia dell’arte, rivisitata a suo modo in pubblicazioni di grande suggestione come Bisny. Da Bisanzio a New York, raccolta delle sue riflessioni su tutta la grande arte occidentale.
Tra le numerose serie di opere realizzate nel corso dei decenni, quali Colature, Variabili, Tangenziali, Campi, Icone, Costellazioni, Cosmocromie e via dicendo, i Continui rappresentano senza dubbio il suo primo approdo astratto verso una ricerca personale e di grande originalità nell’ottica del superamento del periodo informale, ormai storicamente in fase discendente proprio a partire dall’inizio egli anni Sessanta.
I punti bianchi su fondo nero che si susseguono a intervalli regolari, ma non progettati al millimetro e realizzati tutti rigorosamente a mano, diventano metafora di una sorta di scrittura e di racconto esistenziale, che non vuole però descrivere né fare riferimenti a specifici accadimenti. Il Continuo, coi suoi punti riprodotti come fossero parole o note musicali, libera così l’artista dall’obbligo di esporre visioni troppo soggettive, ma allo stesso tempo nel suo essere fatto seguendo uno schema non rigido né a priori è anche un’alternativa umanistica alla società tecnologica e alla serialità industriale. 

Gianni Asdrubali

(Tuscania, 1955)

Già presente con una piccola opera nella collezione della Galleria d’Arte Moderna di Spoleto, Asdrubali (che era stato invitato da Giovanni Carandente alla Biennale di Venezia da lui diretta nel 1988), è un pittore noto per il suo intervento nello spazio e nel vuoto, che concepisce come gli elementi essenziali della propria ricerca, tanto da affermare che lo spazio viene creato nel momento stesso in cui lo dipinge.
La dimensione totalizzante della pittura di Asdrubali, aperta, dinamica, istantanea, si collega a teorie sullo spazio e il tempo che gli studi della fisica quantistica hanno formalizzato nel corso degli ultimi decenni. Avvertite in maniera intuitiva ma consapevole dall’artista, queste teorie diventano forma, immagine, presenza ambientale.
L’opera Tromboloide (composta da quattro elementi sovrapposti al millimetro e parte di un insieme che può arrivare a estendersi a decine di elementi) è proprio una dimostrazione della concezione dello spazio pittorico di Asdrubali, che può essere compresso, schiacciato, espanso, frammentato, composto, senza mai perdere la sua intensità. I Tromboloidi infatti possono adeguarsi a qualsiasi parete e disposizione, da destra a sinistra, dall’alto al basso, in diagonale o in orizzontale, in piano o ad angolo, rimanendo ogni volta la stessa opera aprendosi però a uno spazio differente. Questo Tromboloide in particolare è stato installato dall’artista appositamente per la parete messa a sua diposizione lungo il percorso della collezione. 

Toti Scialoja

(Roma, 1914 -1998)

Fu senza dubbio uno dei primi artisti e sicuramente il più vicino degli italiani all’ambito della cosiddetta action painting o espressionismo astratto americano, di cui conobbe dal vivo le opere e i cui protagonisti principali frequentò personalmente a New York (De Kooning, Rothko, Hoffmann, Guston) nel 1956.
Prolifico e raffinato scrittore (di poesie, testi critici ma anche di un vero e proprio diario di poetica redatto tra 1954 e 1983 in cui chiarì le sue concezioni sull’arte e testimoniò le sue esperienze di pittore), Scialoja è celebre per la gestualità d’azione e per la codificazione delle Impronte, un modo particolare di imprimere sulla tela tracce e orme cadenzate come fossero metafora del passare ineluttabile del tempo e di una condizione privata sofferta e tragica, come è testimoniato dalle sue stesse parole annotate nel 1963 nel Giornale di pittura: “Ogni impronta come la riconferma di una condanna, il segno ricorrente della espulsione. Ogni impronta opera come un grado del tuo essere sempre più respinto e ridotto ai margini”.
Realizzate spesso utilizzando carta di giornale al posto dei pennelli, le “orme” di Scialoja diventano quindi, come in questa carta intelata, una vera e propria radiografia della condizione intima e altrimenti inaccessibile dell’artista, una partitura in cui l’esistenza viene messa a nudo e si identifica in modo scoperto e diretto col processo pittorico.  

Palazzo Collicola

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