Leoncillo

Sala 4

Il periodo Informale
Lo storico dell’arte e teorico del restauro Cesare Brandi, che è stato il più congeniale critico che abbia scritto su Leoncillo, lo aveva definito il terzo scultore italiano dopo Manzù e Marini e questo privilegio gli era stata assegnato grazie alle opere realizzate tra 1958 e 1968, cioè a partire dal periodo informale di Leoncillo fino alla sua morte, avvenuta il 3 settembre 1968, un anno nefasto per l’arte italiana venendo a mancare importanti artisti come Lucio Fontana, Pino Pascali, Ettore Colla, Gastone Novelli.
Il periodo informale non ha rappresentato uno stile, ma l’identificazione con la materia stessa (“creta carne mia” aveva annotato l’artista nel Piccolo diario) e con i processi più nascosti, notturni, vitali e naturali di essa. 

È così che lacerazioni, strappi, fratture, ferite, tagli nella materia furono non solo modi di lavorare la ceramica, ma anche di trasportare pulsioni intime in ammassi informi che ricordavano agglomerati organici e vegetali, mutilazioni, San Sebastiani trafitti, corpi dolenti o alberi: proprio nella figura dell’albero Leoncillo vedeva del resto una sorta di altra natura, sintetizzata da lui stesso con l’espressione “l’essere io un albero”.
Durante questo periodo, l’artista non solo inventerà nuove e inconsuete modalità di lavorare e dipingere la ceramica (utilizzando in particolare il gres, materia che si cuoce ad altissime temperature), ma svilupperà la scultura in dimensioni, se non proprio installative, di certo espanse e ambientali, disponendo le opere verticalmente, a terra o sulle pareti, lavorandole spesso a tutto tondo o su due lati.  Se questi saranno anni cruciali per l’arte, italiana e non, che vedranno imporsi nel 1964 la Pop art e nel 1967 l’Arte povera, per Leoncillo rappresenteranno rivoluzioni traumatiche e ben più radicali che le classiche scelte tra arte astratta e realistica, che del resto aveva saputo bilanciare e tenere in equilibrio negli anni precedenti.
Le sculture informali, in cui spicca l’uso del nero e di colori di terra, di smalti vetrosi e di engobbi, in cui le superfici sono trattate come fossero minerali, pietre, cortecce e tronchi, sono dunque metafora di una crisi epocale e non solo di un tormento privato. Leoncillo grazie a queste opere rimane uno dei più espressivi e umani scultori d’epoca moderna che abbiano affrontato senza retorica alcuna il problema della vita e della morte, della speranza e della disperazione, del passato e del presente. 

focus

Leoncillo Leonardi 


Leoncillo Leonardi (Spoleto, 1915 – Roma, 1968) ha utilizzato nel corso della sua carriera esclusivamente la ceramica come materia d’elezione delle proprie sculture (smaltata, invetriata, gres, engobbi), inventando o manipolando con ineguagliabile originalità tecniche e processi formali e cromatici.
Dando un taglio netto alla sua iniziale produzione naturalistica, espressionista e neocubista, tra 1956 e 1957 fece il grande salto verso l’informale, di cui può dirsi in Italia uno degli assoluti protagonisti in ambito plastico.
Affinità patetiche è forse una delle sue icone più rappresentative realizzate durante questo periodo che proseguì fino alla sua improvvisa morte: una doppia scultura che è una rielaborazione di almeno due altri temi tipici dell’opera di Leoncillo, il San Sebastiano e l’albero. Leoncillo stesso aveva dichiarato nel testamento di poetica conosciuto come Piccolo diario la propria identificazione con la figura dell’albero, arrivando a scrivere: “Perché faccio un albero? Perché io sono un albero. E allora tanto vale fare «l’essere io un albero »”. La corteccia stessa di un albero senza foglie e rami, il suo nudo tronco sembrano essere stati scolpiti in questa coppia di opere, molto simili tra di loro, quasi gemelle, con il risultato di raddoppiare e amplificare le spaccature e le ferite del loro corpo bianco e calcificato, come due moncherini simili ai personaggi di una piece teatrale di Samuel Beckett.
Sulla corteccia di queste sculture evidenti sono le efflorescenze materiche con smalti opachi o lucide che testimoniano delle capacità di Leoncillo di saper trarre dalla materia tutte le sue possibilità di riferirsi alla biografia emotiva e interiore dell’artista, come appunto fossero un vero e proprio diario o un vecchio muro scrostato o un albero fatto di materia viva e di solida carne. 

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