Sculture nella città

Sala 2

(Spoleto 1962)
Nel 1962 si tenne a Spoleto una mostra, ancora oggi ricordata come uno degli avvenimenti più significativi del XX secolo, dal titolo Sculture nella città. L’inventore di questa iniziativa lo considerò un esperimento di integrazione tra le opere d’arte moderna e il tessuto urbano antico. Fu Giovanni Carandente a invitare cinquantatre tra i maggiori scultori del Novecento a Spoleto ad esporre le loro sculture nelle piazze e nei cortili del centro storico; alcune furono erette a mo’ di spartitraffico agli incroci delle vie o poste come solenni portali agli ingressi della città nuova.
Centoquattro creazioni destinate a comporre un unicum nella storia dell’arte moderna. Come lo stesso Carandente scrisse successivamente, proprio “di un esperimento si trattava, più che di una mostra all’aperto come usualmente la si intende, ed ebbe i suoi frutti, perché se un’iniziativa del genere non si è mai più ripetuta in alcun altro luogo in quel modo collettivo e esauriente e in un analogo scenario, l’inserimento di opere moderne di scultura è stato più volte ripetuto nei centri urbani, non solo, ma ha anche dato la stura in tutto il mondo alla collocazione permanente di sculture contemporanee nel cuore delle città, determinando di conseguenza, la versione rinnovata, di senso del tutto diverso, della consuetudine ottocentesca di situare nelle piazze pomposi monumenti celebrativi di stile accademico”. 

Numerosi scultori italiani parteciparono alla mostra e dieci di essi, tra i quali Ettore Colla, Carlo Lorenzetti, Pietro Consagra e Nino Franchina (i lavori di questi ultimi due sono ancora in situ), eseguirono le loro opere di dimensioni monumentali negli stabilimenti dell’Italsider, sponsor dell’iniziativa.
Tra gli stranieri, l’americano David Smith eseguì ventisei sculture per il Teatro romano: è la celebre serie detta Voltri. Alexander Calder creò la più maestosa di tutte le sculture, che è rimasta dove fu collocata: il Teodelapio sul piazzale della stazione ferroviaria, donato dall’autore alla città e di cui è esposto il bozzetto.
Il contesto culturale in cui nacque l’iniziativa era quello del Festival dei Due Mondi, alla sua quinta edizione, e fu accolta con entusiasmo dalla stampa di tutto il mondo che “accorse a Spoleto incuriosita e ne scrisse mirabilia, mentre quella italiana – osserva ancora Carandente – rimase fredda, quando non fu addirittura ostile e polemica nei confronti dei ‘mostri’, come vennero definite le centoquattro sculture”. Queste espressioni dell’arte contemporanea trasformarono Spoleto in un museo di scultura moderna, “un museo singolare, visto che non si chiedeva un biglietto per visitarlo e che custodi erano gli stessi cittadini.
Li aveva avvertiti in tal senso, con un manifesto affisso nelle strade, il sindaco del tempo, Gianni Toscano”, ricorda infine Carandente che al museo ha donato bozzetti e disegni preparatori esposti in questa sala.

focus

Teodelapio

Alexander Calder (Lawnton, 1898 – New York, 1976) è stato il più importante scultore statunitense del XX secolo, creatore di opere astratte filiformi, leggere e oscillanti che Duchamp definì appunto mobile, ma anche inventore di strutture di ferro, a volte di dimensioni monumentale e urbane, simili a grandi e fantastici animali, per cui invece Jean Arp coniò il termine di stabile.
Proprio di uno stabile si tratta nel caso del Teodelapio, titolo che Calder riprese dal celebre duca longobardo di Spoleto per contrassegnare l’immensa opera che sarebbe nata nel 1962 da questo modello realizzato nel suo studio di Roxbury (un’altra versione del bozzetto è conservata presso il MoMA di New York) e collocata permanentemente nel 1962 in occasione di Sculture nella città di fronte alla stazione ferroviaria della città.
Il modello del Teodelapio fu eseguito a mano dallo stesso artista (come era solito fare per qualsiasi sua opera), il quale aveva grandi capacità manuali e tecnico costruttive, essendosi laureato presso la facoltà di ingegneria di Hoboken e che era egli stesso figlio e nipote di scultori.
Lo stabile monumentale, il primo a scala urbana dei tanti eseguiti poi da Calder, fu ingrandito circa 27 volte rispetto alla scultura originaria, arrivando a misurare 18 metri di altezza. Simile a una grande giraffa, a un dinosauro, un drago o comunque a un animale immaginario, il Teodelapio era stato donato dall’artista a Giovanni Carandente, il quale a sua volta lo lasciò alla città di Spoleto e alla Galleria d’Arte Moderna che lui stesso contribuì a fondare nel 2000 e di cui fu direttore fino al 2009, anno della sua scomparsa. 

Un grande fotografo per un evento unico

Ugo Mulas

(Pozzolengo, 1928 – Milano, 1973)
Mulas può essere ritenuto uno dei più importanti fotografi italiani (tra cui Gianfranco Gorgoni e Claudio Abate) della seconda metà del XX secolo che abbiano dedicato la propria attività alla documentazione degli artisti suoi contemporanei, immortalati in celebri scatti che ne hanno fatto vere e proprie icone.
Testimone attivo di molti importanti eventi e mostre di arte contemporanea (da Spoleto 62 alla Biennale di Venezia nel 1964 fino a Vitalità del negativo nel 1970), frequentatore di artisti e dei loro studi (da Rauschenberg a Duchamp, da Warhol a Pascali, da Melotti a Kounellis), ha lasciato centinaia di scatti che compongono un mosaico vivido di quella che è stata la scena dell’arte internazionale nel suo periodo d’oro: gli anni Sessanta.
La collezione della Galleria d’Arte Moderna di Spoleto possiede 102 scatti di Mulas, che fu chiamato a fotografare le opere posizionate nel percorso urbano durante la rassegna Sculture nella città nel 1962 ideata da Giovanni Carandente e realizzata in occasione del Festival dei Due Mondi, che vide la presenza di 53 artisti (tra i tanti Calder, David Smith, Paolozzi, Moore, Marini, Manzù, Chadwick, Fontana, Colla, Pepper, A. Pomodoro...)
Questi scatti costituiscono oggi non solo documentazione storica di come dovevano apparire le opere sulle mura, nelle piazze, nelle vie, sulle scalinate della città, ma permettono anche una lettura di quelle sculture con occhio critico, attento e partecipe, tanto da poter essere considerati delle vere e proprie opere a sé. 

Palazzo Collicola

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Giovanni Carandente
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